La Festa di San Giacomo
Martedì 24 e Mercoledì 25 luglio – Martedì 31 luglio e Mercoledì 1 agosto
“La Festa di San Giacomo” costituisce il momento in cui tutta la città di Caltagirone rende omaggio al Santo Patrono.
I festeggiamenti iniziano il 23 Luglio con spettacolari fuochi d’artificio presso la Villa Comunale a conclusione di un concerto bandistico; proseguono il 24 e 25 luglio con la maestosa e famosissima Scala S.Maria del Monte che per l’occasione viene “illuminata” con i tradizionali coppi ad olio e riporta un disegno unico per tutta la distesa. La Scala Illuminata è un evento di grande suggestione per quanti giungono per ammirare un capolavoro di arte e luci.
Quando la sera del 25 luglio mentre la Scala è “illuminata” e la processione accompagnata dal Corteo Storico del Senato Civico e dalle Autorità civili e religiose, giunge in Piazza Municipio, la Città offre il massimo tributo dei Festeggiamenti in onore al Santo Patrono San Giacomo. Tutti i presenti, cittadini e visitatori sono assiepati in ogni angolo della Piazza del Municipio, per stringersi attorno al Santo Protettore. La sera del 31 luglio la processione con la Reliquia e il Simulacro di San Giacomo, il Corteo Storico del Senato Civico e le Autorità civili e religiose si recano verso la Parrocchia Santa Maria di Gesù dove i fedeli possono rendere omaggio al Santo apostolo fino alla sera del 1 agosto quando rientra, sempre in processione, in Basilica. Durante l’anno, nella Basilica è possibile ammirare il grandioso Fercolo di San Giacomo posto al centro del presbiterio, dietro l’altare maggiore, mentre la Cassa Argentea della Reliquia viene custodita nella cappella di San Giacomo, posta sul lato sinistro del presbiterio. La Festa è poi arricchita da una serie di manifestazioni cittadine collaterali, come mostre, concerti e spettacoli vari che si svolgono al Giardino Pubblico o in altri luoghi della città.
La Storia
Il culto di San Giacomo e la sua tradizionale festa hanno da secoli ricoperto un ruolo particolarmente importante e caro nella storia e nei cuori dei calatini. La devozione iniziò nel 1091 quando il conte Ruggero nel recarsi alla conquista di Malta, trovandosi nei pressi della città, sbaragliò con l’aiuto di milizie di Caltagirone, nella contrada d’allora detta “del Conte”, bande saracene che ancora depredavano il territorio. In tale occasione la tradizione vuole che S. Giacomo determinasse con la sua stessa presenza la vittoria sui Saraceni.
In ogni caso entrando in trionfo in città il 25 luglio, giorno consacrato al Santo, il Conte volle innalzargli un tempio affidandogli il patronato della città fin lì tenuto da S. Nicola di Maria; Viva Diu e San Jacupu gridavano i portatori del pesante fercolo. Nella chiesa di S. Giacomo un iscrizione sopra un capitello di colonna, riportava fino al terremoto del 1693 che distrusse tanta parte della città, la dedica della chiesa fatta dal conte al Santo Martire. La devozione a San Giacomo continuò a perpetuarsi nei secoli e si accrebbe ancor più quando nel 1457 l’Arcivescovo Burgio donò alla Città un piccolo osso del braccio di San Giacomo preso dal Reliquiere di Manfredonia che fu incastonato in un braccio di platino con mano d’oro.
Tra 1599 e il 1610 venne realizzata la cassa argentea per le reliquie ad opera di Nibilio e Giuseppe Gagini. Negli stessi anni la chiesa tutta veniva adornata di opere d’arte di pittura e scultura dei più valenti artisti del tempo. Tali opere erano commissionate dal Senato Civico che si ritenne sempre patrono della chiesa, per cui su ogni porta appare scolpito lo stemma della città. Per questo diritto patronale il Senato teneva le chiavi reliquiere che non fu mai aperto senza il suo consenso. In occasioni particolarmente gravi, il parroco invitava il Senato ad aprire le porte che custodivano gelosamente le reliquie: alla processione del Santo si affidava infatti la Città negli avvenimenti nefasti quali pestilenze e terremoti.
Nel 1542 vi fu un forte sommovimento sismico che causò poche vittime, si ritenne, per l’intervento del Santo la cui reliquia fu trasportata per tutta la città. Lo stesso accadde nel 1575 per una pestilenza che devastò per due anni la Sicilia, causando poche vittime a Caltagirone, nel 1624 per un’altra pestilenza e, infine, per il disastroso terremoto del 1693. In tale circostanza la chiesa normanna da poco decorata di ricchi marmi e di pitture di Epifanio Posso che, per la grande fede popolare, fu la prima ad essere ricostruita tra le parrocchie. In fine, nel 1743 in occasione di una nuova pestilenza, i Magistrati civici consegnarono alla statua dell’Apostolo le chiavi della città in segno perpetuo affidamento. Accanto alle manifestazioni di culto e di fede, la devozione popolare si espresse nel corso dei secoli in magnifici festeggiamenti.
Già nel 1575, dopo la pestilenza, la Città quasi lesa, decise di celebrare una più solenne festa rappresentando un opera teatrale. Fu nel 1587 che la festa assunse caratteri particolarmente fastosi attirando gente da città e terre vicine, probabilmente spinti anche dalla presenza di una fiera che, data la ristrettezza degli scambi in quei tempi, rivestiva sempre una funzione importante. Tale ruolo era stato riconosciuto dalle Autorità Regie con la concessione, fatta da Carlo V nel 1517, essendo Viceré Pignatelli, della fiera di San Giacomo “franca di dogana”. Il mercato si svolgeva nel Piano della chiesa e si prolungava oltre le porte della città. Per l’afflusso di negozianti cittadini e forestieri, la chiesa, a sue spese, innalzava varie logge con tavoli e canne. Dal 1665 tutto luglio fu dedicato al Santo Patrono: il primo giorno del mese si celebrava una solenne messa cantata a cui interveniva il Senato, i festeggiamenti principali si concentravano nei giorni 2, 23, 24, 25, e nell’ottava. Il primo giorno si faceva al suono di tamburi, nella strada sotto il convento di San Francesco di Paola, la corsa dei Bàrberi. Prima della corsa si distribuivano confetti a gentildonne e signori che venivano in carrozze e assistevano alla gara assieme al Senato da un palco costruito appositamente sulla linea di arrivo; il secondo giorno, alla sera della vigilia, dalla chiesa di Sant’Eligio in via Porta del Vento, si avviava verso la chiesa di San Giacomo la festosa processione dei cerei. I cerei erano quindici offerti da altrettante categorie di cittadini; inoltre la chiesa del Patrono aveva l’obbligo di presentare il suo. Il più cospicuo dei ceri era quello dei “Massari” trasportato da un carro tirato da buoi che era l’unico a rimanere nella Loggia davanti il Palazzo senatorio. La stessa sera veniva illuminata la chiesa del Patrono all’interno e all’esterno, in quattro campani della città e la strada di San Giacomo. Anche il Palazzo senatorio veniva adornato costruendo, ogni anno con nuovo disegno, una macchinetta di apparato con stoffe, cartoni colorati e festoni di foglie.
Nel 25 e nell’ottava la processione era formata da dodici stendardi delle confraternite, alti circa sei metri, che precedevano la cassa della reliquia e il Simulacro; seguiva il Senato accompagnato dai servienti, paggi e mazzieri, quest’ultimi, concessi nel 1575 come privilegio da Carlo V assieme a quello di vestire la toga. Più in là nel tempo al corteo senatoriale si aggiunsero anche quattro trombettieri, il guardaroba, spesso, due tamburi. Il corteo poteva essere tutto a cavallo e il Senato andava su una carrozza tirata da quattro mule, carrozza rifatta sontuosissimamente a Palermo nel 1760 e purtroppo andata distrutta. Il 26 luglio c’era il “santo perdono” cioè l’indulgenza plenaria concessa dalla Santa Sede ogni sette anni. Di sera si rappresentava, nella Loggia, un melodramma ogni anno diverso, composto dai Gesuiti del nostro Collegio. Queste rappresentazioni nel ‘700, furono sostituite da opere del Metastasio e, verso la fine di questo secolo, dal canto dell’oratorio o del cosiddetto “Dialogo” in poesia con accompagnamento musicale. Gli storici locali tramandano che, dopo il 1693, mutarono molte consuetudini, ma già prima del terremoto fu introdotta dalla maestranza dei cordai e degli stovigliai, il costume delle imponenti mascherate a cavallo rappresentanti fatti dalla storia sacra o cittadina. La festa fu celebrata nell’anno stesso del terremoto e in quelli immediatamente successivi alla catastrofe; nel 1596 vi fu una splendida parata dei cerei costituita da ottanta stovigliai a cavallo riccamente vestiti, recanti in mano i cerei accesi e con paggi a seguito. La processione usciva dalla chiesa di San Pietro, percorse per tutta la notte le vie della città.
Nel 1703 è per la prima volta attestata l’illuminazione della Scala a spese del Comune. La festa andava a poco a poco assumendo le caratteristiche conservate fino ad ora, pur rimanendo legata ad antiche consuetudini di cui talvolta si è persa anche la ragione d’essere. Ad esempio, si ricorda il caso dei tre tradizionali giri che la statua e la cassa compiono nella Loggia da destra o da sinistra rispettivamente a secondo che l’annata agricola sia stata favorevole o meno. Tale usanza nacque da fatto che al centro della piazza, secoli fa, sorgeva una fontana obbligante a fare un largo giro: il popolo, per prolungare la festa, volle che i giri aumentassero e si compiessero anche quando la fontana non esistette più. Dal 1868, la festività fu ristretta ai giorni 23, 24, 25 luglio e 1 agosto e, come novità, il 23 del mese di luglio si aggiunse la serata al giardino pubblico. Troviamo così rappresentati nella festa aspetti che essa ancora conserva e che tutti i calatini oggi vivono.